PSICOTERAPIA


La psicoterapia si occupa della cura di disturbi psicopatologici di diversa gravità, che vanno dal modesto disadattamento o disagio personale alla sintomatologia grave, e che possono manifestarsi in sintomi nevrotici oppure psicotici, tali da nuocere al benessere di una persona fino ad ostacolarne lo sviluppo, causando fattiva disabilità; a tal fine si avvale di tecniche applicative della psicologia, dalle quali prende specificazione nei suoi diversi orientamenti teorici: psicoterapia cognitivo-comportamentale, psicoterapia psicoanalitica, psicoterapia umanistica, psicoterapia sistemica, psicoterapia psicocorporea e psicoterapia integrativa.


Professionalmente, in Italia la psicoterapia è una specializzazione sanitaria riservata a Medici e Psicologi iscritti ai rispettivi Ordini professionali, e si consegue mediante un percorso formativo presso scuole di specializzazione universitarie post-lauream, oppure in scuole di specializzazione private. Queste ultime devono essere formalmente riconosciute e autorizzate da un'apposita Commissione del MIUR (Ministero dell'Università e della Ricerca) ad erogare la relativa formazione specialistica. In Europa invece le Legislazioni e applicazioni delle stesse si differenziano molto [1].
Etimologicamente la parola Psicoterapia - "cura dell'anima" - riconduce alle terapie della psiche realizzate con strumenti psicologici, quali il colloquio e la relazione, nella finalità del cambiamento consapevole dei processi psicologici dai quali dipende il malessere o lo stile di vita inadeguato, e connotati spesso da sintomi come ansia, depressione, fobie, ecc.

Orientamenti teorici

Esistono numerose definizioni di psicoterapia pertinenti a teorie della mente e modelli d'intervento diversi, spesso su basi epistemologiche differenti.
Numerose sono anche le pratiche e le tecniche psicoterapeutiche legate ai diversi indirizzi teorici: psicoanalitico/psicodinamico, sistemico-relazionale, cognitivo-comportamentale, fenomenologico-esistenziale, eccetera, ciascuno dei quali, dal comune fondamento epistemologico, si è differenziato in scuole e metodologie diverse.

Scuola Psicoanalitica (o Psicodinamica)

Per gli psicoterapeuti di indirizzo psicodinamico, di cui la tradizione classica è quella di approccio psicoanalitico, il sintomo manifestato dal paziente è la conseguenza di un conflitto inconscio tra alcune componenti dell'endopsichismo, o può essere attribuibile a problemi strutturali nello sviluppo di alcuni assetti psichici interni nel corso dello sviluppo psicologico ("teorie del conflitto" vs. "teorie strutturali").
Per poter "sopravvivere" emotivamente ad avvenimenti che non sa gestire, l'individuo sviluppa delle difese di tipo psicologico (ad esempio la rimozione); l'evento problematico o "traumatico" viene così reso parzialmente gestibile, ma permane nel sistema psichico come conflitto inconscio: il sintomo rappresenta quindi l'espressione esplicita di tale conflitto.
All'interno dell'approccio psicoanalitico (detto anche "psicodinamico"), esistono differenti sottoscuole di pensiero, con differenti "teorie della clinica": tra le principali, si devono citare quelle psicoanalitiche classiche, quelle psicoanalitico-relazionali, quelle psicoanalitico-intersoggettive; tra quelle derivate dal filone principale della psicoanalisi freudiana e post-freudiana, sono di rilievo inoltre la psicologico-analitica junghiana, la psicanalisi lacaniana e la psicologia individuale adleriana. Esistono inoltre forme di psicoterapia psicodinamica breve.
In generale, la terapia psicodinamica dei vari orientamenti psicoanalitici prevede una stretta relazione tra psicoterapeuta e paziente, grazie alla quale si cerca di esplorare la struttura dei conflitti responsabili dei sintomi. Lo psicoterapeuta assiste il paziente nella rielaborazione dei conflitti interiori, permettendo una miglior gestione degli effetti provocati da questi. La Psicoterapia psicodinamica richiede un periodo medio-lungo per potersi sviluppare in maniera adeguata (da 2 a 3 anni, con incontri regolari una o due volte alla settimana, ma la frequenza resta comunque variabile anche nel corso della terapia).
Il trattamento, da un punto di vista tecnico, consiste nell'attivare una terapia analitica con un setting rigoroso, al fine di favorire lo sviluppo del transfert, cioè l'attualizzazione di schemi relazionali pregressi nel qui ed ora della relazione clinica che viene a stabilirsi tra paziente e terapeuta; nel processo di transfert il soggetto attiva una rappresentazione inconscia di stili relazionali primari, a volte correlati alle difficoltà che ha riscontrato.
L'interpretazione del transfert, del controtransfert (ovvero delle reazioni emotive dell'analista a certi processi del paziente), delle libere associazioni e di altro materiale personale (ad esempio, comportamenti, patterns relazionali, sogni, etc.) durante le sedute cercherà di favorire l'elaborazione delle cause più profonde dei conflitti, per permettere al paziente di assumere maggiore consapevolezza e poter modificare i propri stili relazionali, o al fine di ottenere una parziale ristrutturazione del proprio Sé, in modo che sia il più funzionale possibile all'adattamento alla vita sociale e relazionale, e mitigando gli eventuali sintomi psicopatologici.
Al suo interno si è sviluppato anche un approccio definito di psicoterapia dinamica breve, con maggiore delimitazione temporale ed una più esplicita focalizzazione sui sintomi.

Psicoterapia Adleriana (o Individualpsicologica)

La psicoterapia adleriana è una psicoterapia psicodinamica basata sugli assunti della Psicologia Individuale di Alfred Adler secondo la quale: 1) il comportamento umano è espressione di un progetto, solo in parte cosciente, teleologicamente orientato al perseguimento di una maggiore stabilità e sicurezza, 2) le relazioni interpersonali sono parte costitutiva della vita psichica: non è possibile studiare l'uomo, "essere sociale", come soggetto a sé stante, ma solo all'interno del suo contesto sociale[2] 3) il comportamento e le sue manifestazioni, consce ed inconsce, sono determinate dallo Stile di vita, impronta unica ed originale, che caratterizza il modo di essere, i pensieri, le opinioni, le emozioni, i sentimenti[3].
Lo Stile di vita, strutturato fin dalla prima infanzia attraverso un graduale processo di selezione ed adattamento dinamico, è lo schema interpretativo adottato per definire se stessi, il mondo e le modalità della relazione con l'ambiente secondo una considerazione del tipo: "Io sono così, il mondo è così, perciò...."[4]. La deduzione raggiunta filtra e condiziona ogni acquisizione successiva: omnia ex opinione suspensa sunt!
Per comprendere lo Stile di vita occorre acquisire dati su quanto il soggetto ricorda dell'infanzia e della sua relazione con i membri del nucleo familiare, con i compagni di scuola e di gioco, con altre figure significative. La selettività della memoria consente di decifrare l'opinione che ha di se stesso, delle persone a lui vicine e degli eventi descritti. Il disagio psichico si manifesta quando un individuo con un'erronea opinione di sé e del mondo, tenta di difendere il proprio schema interpretativo ricorrendo a costrutti artificiosi (finzioni[5]) improbabili ed insufficienti a garantire la soddisfazione dei bisogni.
Lo Stile di vita tende a rimanere invariato per tutta la vita a meno che un evento esistenziale importante o una psicoterapia non ne modifichino i parametri. Elemento centrale della psicoterapia adleriana è la ricostruzione dello schema appercettivo attraverso cui la persona ha costruito il proprio Stile di vita: la comprensione degli errori interpretativi consente la formulazione di un nuovo progetto, più aderente alla realtà e più efficace nella realizzazione degli obiettivi. Al termine della psicoterapia, il soggetto avrà acquisito, oltre ad una conoscenza maggiore di sé e delle proprie istanze, anche un criterio per prevedere e prevenire ulteriori errori: in tal senso l'esperienza psicoterapeutica diviene anche formativa.
L'unicità e irripetibilità di ogni Stile di vita fa sì che il "trattamento" di ciascun paziente preveda un certo grado di "personalizzazione": la coppia creativa, costituita dal terapeuta e dal paziente, pur nel rispetto delle indicazioni metodologiche, decreterà, per ciascun caso, le regole dell'accordo terapeutico e le modalità dell'interazione[6]

Scuola Cognitivo-Comportamentale

Gli psicoterapeuti di indirizzo cognitivo-comportamentale adottano un punto di vista fondato su una lunga tradizione di ricerca scientifica, che inizia con i primi studi di Pavlov sui riflessi condizionati e prosegue tutt'oggi con migliaia di studi sperimentali.
Essi presumono che il "sintomo" sia l'espressione di un precedente apprendimento di schemi comportamentali, emotivi e di pensiero errati o disadattivi, derivanti da peculiari esperienze di vita del paziente, eventualmente mantenuti da un contesto interpersonale patogeno nel presente. Il soggetto che li mostra viene pertanto considerato portatore di strutture cognitive non adeguate (convinzioni), o di processi cognitivi inadatti a selezionare e ad elaborare in modo funzionale gli stimoli ambientali. Lo psicoterapeuta in questo caso può attuare, con l'aiuto del paziente, tecniche di condizionamento o decondizionamento sperimentalmente validate, al fine di modificare in modo diretto le risposte emozionali e gli schemi che si sono rivelati disadattivi, o sostituirli con nuovi schemi più funzionali, tramite esperienze (es. esposizione a stimoli prima evitati) e/o comportamenti di tipo nuovo (prescrizioni comportamentali).

Scuola Sistemico-Relazionale

La psicoterapia ad indirizzo sistemico-relazionale considera la persona portatrice del sintomo "paziente designato". Tale termine sta ad indicare che il paziente è il membro del sistema-famiglia (per famiglia si intendono sia la propria che almeno le due generazioni che l'hanno preceduta), che esprime o segnala il funzionamento disfunzionale di uno o più dei sistemi di cui egli è uno dei vertici. Tale membro è "designato" dal sistema stesso, secondo una prospettiva bio-psico-sociale, in quanto soggetto che esprime una modalità disfunzionale di vivere, pensare, agire. Talvolta, specialmente in casi che riguardano i bambini o gli adolescenti (ambiti in cui la terapia familiare risulta un approccio particolarmente valido), questo si manifesta sotto forma di blocco evolutivo, così che tutte le tensioni tendono a convergersi su di lui; in tal modo diviene il controllore di forze ed energie relazionali, al prezzo di gravi sentimenti di sofferenza e vissuti di disgregazione.
In questa ottica, le tecniche che si utilizzano hanno per obiettivo la modificazione delle regole del sistema, ovvero la modificazione delle modalità di comunicazione e di interazione tra i membri.
Questo approccio ebbe origine a partire da un vasto movimento di teorie e idee diffuse negli Stati Uniti durante gli anni '50, in particolare le teorie della prima e seconda cibernetica. La "Scuola di Palo Alto" e il Mental Research Institute, con i loro maggiori esponenti (Gregory Bateson, Don D. Jackson, Jay Haley, Paul Watzlawick), furono i principali centri di sviluppo della terapia sistemica familiare. I terapeuti che seguono questo orientamento psicoterapeutico condividono la matrice pragmatica, di chiara origine americana, per cui il loro intervento si struttura in genere in un numero di sedute ridotte, e in tempi relativamente rapidi.

Scuola Psicosintetica

La psicosintesi è un movimento psicologico di derivazione psicoanalitica, fondato agli inizi del secolo dallo psichiatra Roberto Assagioli (1888-1974) e sviluppatosi poi come indirizzo umanistico-esistenziale, vicino anche a temi transpersonali.
Gli psicoterapeuti psicosintetisti ritengono che il sintomo sia l'espressione di un allontanamento dal Sé transpersonale, il cui riflesso nel campo della coscienza è il sé o io personale. L'uomo, secondo tale approccio, ha dentro di sé l'aspirazione alla completezza e alla sintesi, e si muove nella sua vita secondo due dinamiche fondamentali, quella del conflitto tra molteplicità ed unità e quella fra passato e futuro. La terapia psicosintetica, che si basa su una prima fase di tipo analitico, procede con colloqui generalmente faccia a faccia, esercizi di disidentificazione e autoidentificazione, oltre a tecniche specifiche come le visualizzazioni per sviluppare le varie parti che compongono la personalità del paziente (subpersonalità) e armonizzarle quindi attorno al sé. Cardini della terapia sono la scoperta e lo sviluppo della volontà intesa in senso psicosintetico, e l'attenzione per la parte spirituale o transpersonale dell'individuo.
Il percorso terapeutico si snoda quindi in un percorso dove il dolore e la sofferenza viene vista come opportunità evolutiva; si passa perciò da una fase conoscitiva a una interpretativa per arrivare alla parte attivo-sintetica, mediante la quale il sé agisce attivamente sulla situazione per trasformarla o comunque accettarla.
Per la psicosintesi il rapporto terapeutico ha due scopi fondamentali: il dissolvimento o la trasformazione dello stesso, in quanto il paziente ricerca la sua autonomia e capacità di guidarsi da solo, e la guarigione esistenziale, intesa non tanto come perdita dei sintomi quanto come acquisto in salute e maturazione psichica di cui la sofferenza costituisce la naturale gestazione.

Scuola Ericksoniana

L'ipnoterapia ericksoniana è una psicoterapia che deriva dal lavoro clinico di Milton H. Erickson e basa una parte importante della sua efficacia sull'ipnosi. L'ipnosi è un metodo che viene utilizzato anche in altre psicoterapie. L'ipnoterapia ericksoniana, o psicoterapia ericksoniana, viene definita anche come psicoterapia breve (si deve proprio a Erickson il primo uso di questa locuzione). Si basa su alcuni assunti importanti:
il paziente è un individuo unico e pertanto unico sarà l'approccio utilizzato per curare il paziente (tailoring);
l'inconscio di ciascun individuo è pieno di risorse per risolvere i problemi del vivere quotidiano; le persone sono considerate come capaci di autoguarirsi e autocorregersi se riescono a farlo;
qualche individuo ha bisogno di aiuto per correggere i propri problemi e guarire dai propri sintomi; qualche volta una persona deve prima imparare delle abilità o deve orientare la propria attenzione verso nuovi modi di vedere le cose o di pensare;
i sintomi e i problemi comportamentali sono frutto di un'inadeguata relazione tra mente conscia e mente inconscia;
l'attività psicoterapeutica dell'ericksoniano è principalmente orientata alla risoluzione dei sintomi o dei problemi comportamentali portati nel setting dal paziente.

Sintomi

I problemi oggetto di intervento dello psicoterapeuta vanno dal generico disagio esistenziale senza una sintomatologia psicopatologica manifesta, alle forme di disturbi più clinicamente strutturati (dalle strutturazioni e sintomatologie nevrotiche a quelle dei disturbi di personalità), fino all'intervento psicoterapeutico nelle più gravi forme di psicosi (psicopatologia con interpretazione delirante della realtà, spesso con allucinazioni uditive, visive o tattili).
Possono essere affrontati fenomeni sintomatici quali l'ansia, la depressione, il disturbo maniacale, le fobie, le ossessioni, i disturbi del comportamento alimentare - anoressia e bulimia - e della sfera sessuale, il comportamento compulsivo, l'abuso di sostanze, eccetera (i cosiddetti "disturbi di asse I del DSM"); in psicoterapia è possibile affrontare anche i disturbi della personalità ("disturbi di asse II del DSM"), le forme di disagio personale non psicopatologicamente strutturato (difficoltà relazionali, affettive, interpersonali), ed i fenomeni relazionali complessi quali il mobbing, il conflitto coniugale, ed altri.
Lo psicoterapeuta si può occupare anche della riabilitazione di soggetti con disturbi psichiatrici e della riabilitazione di soggetti tossicodipendenti, sia all'interno di strutture sanitarie pubbliche (per esempio i CSM, Centri di Salute Mentale per i soggetti psichiatrici, e i SERT (Servizi Tossicodipendenze) nel caso delle tossicodipendenze), all'interno di Comunità Terapeutiche che possono essere sia pubbliche o private, o infine presso un ambulatorio o studio professionale privato.
Storicamente, alcune scuole di psicoterapia si sono focalizzate maggiormente su particolari sintomatologie o determinate aree di intervento, come nel caso dell'indirizzo psicoanalitico tradizionale con la sua attenzione (anche se non esclusiva) alle cosiddette nevrosi (ansia, depressione, fobie, ossessioni) ed ai disturbi di personalità.
Altri, come il caso dei terapeuti cognitivo-comportamentali, si sono orientati maggiormente al trattamento di disturbi da stress, depressione, fobie, disturbi ossessivo-compulsivi, disturbi sessuali, alimentari, del sonno e dipendenze patologiche.
Altri ancora, come i terapeuti familiari sistemico-relazionali, si sono occupati in particolar modo (ma non esclusivamente) dei disturbi della condotta alimentare come anoressia e bulimia negli adolescenti, dei conflitti familiari, delle difficolà di coppia, di disturbi di area evolutiva a matrice familiare, ecc.

Nel mio caso mi è stato molto utile uno psicoterapeuta ke non si limitava solo ad utilizzare le
tecniche di una scuola di pensiero ma a seconda della mia risposta si adattava con tecniche di scuole
differenti, molto astuto!!

LE NEVROSI

Tesi sempre sostenuta da Freud: non c'è una linea netta di demarcazione fra normalità e anormalità psichica: i conflitti inconsci sono gli stessi, ma nei nevrotici sono molto più intensi. Le differenze, cioè, sono di quantità e non di qualità.
Nel corso della discussione riguardante i sogni, gli atti mancati e le battute di spirito, si è più volte sottolineato un aspetto che tali diversi fenomeni presentano in comune con il sintomo nevrotico: tutti presentano infatti la caratteristica di essere formazioni di compromesso, espressioni di conflitto psichico, ossia manifestazioni attraverso le quali si esprimono contemporaneamente dei desideri rimossi e delle istanze difensive.
Con ciò si afferma implicitamente che anche isintomi nevrotici, nonostante quello che frequentemente appare, come il loro carattere assurdo e incongruente, rivelano un'intenzione e un significato nascosti.
Freud ha fatto spesso notare come il sintomo nevrotico abbia una stretta analogia con il sogno manifesto; anche il processo di formazione del sintomo è molto simile a quello che si osserva nel lavoro onirico: entrano anche qui in gioco processi di condensazione, spostamento, simbolizzazione, ecc. Anche nel caso del sintomo, si tratta del fatto che un desiderio inconscio è alla ricerca di un appagamento, ma incontra l'ostacolo dell'Io che se ne difende, perché sente come un pericolo la possibilità che tale desiderio trovi la maniera di esprimersi e di realizzarsi. I motivi per cui l'Io si difende con la rimozione da determinati desideri dell'Es, possono essere disparati; una delle ragioni, per es., può essere una forte disapprovazione da parte del Super-io, cosicché l'Io 'si incarica', per conto del Super-io, di respingere nell'inconscio determinati impulsi. Il risultato di tale conflitto consiste nel fatto che i desideri inconsci, che malgrado tutto riescono a superare le difese dell'Io, raggiungono soltanto una forma di soddisfacimento sostitutiva ed estremamente mascherata. Inoltre, pur soddisfacendo i desideri inconsci entro certi limiti ristretti, il sintomo rappresenta al tempo stesso un inconscio ripudio di tali desideri. Di conseguenza l'Io ritrova di fronte a sé i sintomi, che costituiscono un "ritorno del rimosso", benché in forma sostitutiva e mascherata.

Da qui nasce il concetto di utile primario della malattia (o del sintomo nevrotico): Freud ritiene che esso consista nell'abolizione o nella diminuzione dell'angoscia, della paura o del senso di colpa che verrebbero avvertiti, se i desideri rimossi irrompessero nella coscienza. Ciò può sembrare strano, se si considera quanto spesso i sintomi nevrotici siano accompagnati dall'ansia, ma il paradosso è più apparente che reale: infatti un altro aspetto dei sintomi consiste nel fatto che i conflitti inconsci, che in essi si esprimono, costituiscono una riattivazione di conflitti infantili che a suo tempo diedero origine a difese patologiche; in altri termini, i conflitti che si traducono nei sintomi nevrotici esprimono una regressione a conflitti nevrotici infantili, ad esempio conflitti edipici, che nell'infanzia hanno avuto un esito patologico. Se pertanto i desideri infantili rimossi in questione riuscissero ad affiorare esplicitamente alla coscienza nella loro forma infantile originaria, sarebbero accompagnati da tutta l'angoscia, il terrore o il senso di colpa che già nell'infanzia erano stati provocati da tali desideri. Permettendo invece un'espressione soltanto parziale e travestita dei desideri originari, attraverso quella formazione di compromesso che è il sintomo nevrotico, l'Io è in Brado di evitare almeno in parte, se non tutto, l'intenso disagio che altrimenti ne sarebbe derivato. E' da notare quanto il sintomo nevrotico sia simile — da questo punto di vista — a quell'altra formazione di compromesso che Freud ha chiamato sogno manifesto.

Freud ha rilevato anche l'esistenza di un utile secondario: una volta che si è formato un sintomo, l'Io può scoprire che esso porta con sé alcuni vantaggi, i quali possono indurre un nevrotico a rimanere legato alla propria malattia. Ciò può essere espresso in forma efficace, anche se il riferimento è un po' paradossale, dalla constatazione che: "il trattamento di forme gravi di obesità è sempre un problema difficile, ma diventa addirittura impossibile se la paziente che vogliamo curare fa la donna cannone in un circo, e trota nella sua malattia il modo di guadagnarsi da vivere" (Brenner, 1967). I vantaggi secondari (o esterni) derivano dai riflessi sociali della malattia. Possono consistere nel ricavare attenzioni, cure e premure: nell'essere esonerati, sia pure temporaneamente, da impegni, responsabilità, decisioni; nell'esprimere, in forma indiretta (e quindi coperta e clecolpevolizzata), valenze extrapunitive, vendicative (sovraccarico di responsabilità, di lavoro, fastidi, doveri assistenziali, ecc.... per le persone "care"); nell'attuare una pratica di vita autopunitiva (limitazioni sociali, isolamento, sofferenza, ecc....) che ha valore espiativo ed al tempo stesso è un messaggio (più o meno inconscio) sia accusatorio, sia di richiesta d'amore, comprensione, aiuto, ecc.... Occorre ricordare che la sofferenza fisica e morale è uno dei più potenti messaggi sociali, di tipo preverbale, altamente espressivo, che può veicolare sia gli aspetti aggressivi (accusatori, colpevolizzanti), sia amorosi (attivando la pietà, la compassione). Questa richiesta indiretta, passiva, pagata con l'impotenza e la sofferenza, è considerata socialmente accettabile, è favorita da un certo tipo di morale ed è spesso considerata preferibile alla chiarificazione dei veri termini del conflitto. L'utile secondario, quindi, pur non essendo all'origine del sintomo, lo consolida e lo stabilizza, accentuando le resistenze all'azione terapeutica.

Per illustrare, ora, almeno alcuni aspetti di quanto fin qui esposto, vediamo l'esempio di "un giovanotto che ha il seguente sintomo: tutte le volte che esce di casa deve assicurarsi che siano staccate tutte le luci e le lampade da tavolo. La fantasia terrorizzante, che serviva come razionalizzazione di questo comportamento, era che, se le luci non fossero state staccate, sarebbe potuto avvenire un corto circuito mentre non c'era nessuno, e la casa quindi sarebbe potuta bruciare. ...il confitto originario era edipico. (...) Nel corso dell'analisi si è appurato che il sintomo di quel giovanotto aveva questo significato inconscio, o latente: senza rendersene conto il paziente desiderava prendere il posto del padre con la madre. Nella sua fantasia inconscia ciò si sarebbe potuto produrre nel seguente modo: sarebbe bruciata la casa, il padre si sarebbe avvilito per la perdita della casa, si sarebbe dato al bere e sarebbe diventato incapace di lavorare, di modo che il paziente avrebbe dovuto prendere il posto di lui quale capofamiglia. In questo caso l'irruzione del desiderio dell'Es è rappresentata da due fatti: I) il preoccuparsi spesso di quella parte della fantasia di prendere il posto del padre che aveva il permesso di rimanere cosciente, cioè il fatto che la casa sarebbe bruciata, e 2) il fatto che nelle sue ispezioni all'appartamento prima di uscire, il paziente inseriva e toglieva le spine delle luci, ed esprimeva cosi il proprio desiderio di bruciare la casa, nonostante la propria, cosciente, preoccupazione della necessità di prevenire un tale disastro. D'altra parte, é altrettanto chiara anche la parte giocata dall'Io in questo sintomo: annullamento, rimozione, ansia e colpa" (Brenner, 1967).

In questo esempio si può notare la presenza di un aspetto magico, che è tipico delle azioni coatte della nevrosi ossessiva, ad es. dei rigidi cerimoniali ossessivi che un nevrotico si sente assolutamente costretto ad eseguire in modo stereotipato prima di andare a letto. Queste azioni coatte, in genere, rappresentano un annullamento simbolico, in fantasia, di ciò che è stato realizzato, ma che sul piano cosciente è stato rimosso: per es. l'uccisione, in fantasia, di una persona amata. Nell'inconscio non c'è distinzione tra realtà e fantasia e inoltre vige il principio dell'onnipotenza dei pensieri per cui, ad es., il solo desiderio di uccidere una persona viene sentito come equivalente all'averla realmente uccisa. Ciò aiuta a spiegare quello che accade nella mente del nevrotico ossessivo: per effetto dell'onnipotenza dei pensieri il solo avere concepito il desiderio di uccidere la persona amata viene scambiato inconsciamente, dall'ossessivo, con un'azione realizzata: inconsciamente, cioè, egli crede di avere effettivamente ucciso. Ma se il solo pensiero ha magicamente ucciso, allora altrettanto onnipotentemente l'ossessivo crede di poter risuscitare l'ucciso con un gesto di contro-magia, appunto l'azione coatta (o parte di essa). Il solo gesto, inconsciamente, annulla magicamente l'uccisione fantasticata. Alcuni rituali tipici della sintomatologia ossessiva esprimono molto bene tale interpretazione, in quanto vi compare un atto (come ad esempio aprire un cassetto, o fare un movimento con la mano sinistra oppure toccare un oggetto, ecc.) che coattivamente deve essere ripetuto nel suo contrario (chiudere il cassetto, fare il movimento con la mano destra, toccare un oggetto una seconda volta, ecc.).

La tecnica terapeutica, in tali casi, è chiara: se infatti il soggetto nevrotico diventa consapevole dei desideri ostili rimossi che nutre nei confronti di una persona amata (= ambivalenza), questi desideri cessano anche di venire confusi con azioni, perdono cioè la loro onnipotenza e tendono ad essere neutralizzati dalla sua più forte buona disposizione d'animo cosciente, cosicché egli non ha più bisogno di ricorrere a gesti magici per proteggere da essi il loro destinatario.

È soltanto per il grado in cui sono coatte e complicate, che tali azioni ossessive differiscono da altre azioni come "far croce" con le dita per proteggere un amico dal malaugurio che inconsciamente rivolgiamo contro il suo successo.
In fondo, ogni individuo normale ha il suo rituale del coricarsi o certe piccole abitudini stereotipate che ripete sempre nell'identico modo. Ciò che differenzia questi comportamenti rispetto a quelli nevrotici è la possibilità di abbandonarli senza difficoltà se le circostanze lo richiedono.
Ciononostante i significati e le intenzioni sono gli stessi in entrambi i casi. Questo fatto costituisce un'illustrazione della tesi sempre sostenuta da Freud: che non c'è una linea netta di demarcazione fra normalità e anormalità psichica: i conflitti inconsci sono gli stessi, ma nei nevrotici sono molto più intensi. Le differenze, cioè, sono di quantità e non di qualità.
‎"La nevrosi e le fantasie del paziente spariscono quando ha rivissuto i propri istinti e riesce a ricordarli senza tentativi di rimozione, divenendone cosciente e padrone, quando la terapia ha ricostruito un Io più forte dell'inconscio e della coscienza morale, che ha ritrovato la sua unità e normalità. Freud scrive a proposito che il ricordare è sempre un rivivere."


IL TRANSFERT


Il transfert (o traslazione) è un meccanismo mentale per il quale ogni individuo tende a spostare schemi di sentimenti e pensieri relativi a una relazione significante su una persona coinvolta in una relazione interpersonale attuale. Il processo è largamente inconscio, il soggetto non comprende completamente da dove originino tali emozioni, sentimenti e pensieri. Il transfert è fortemente connesso alle relazioni oggettuali della nostra infanzia e le ricalca.
Il transfert è presente in ogni tipo di relazione interpersonale, ma cornice di un trattamento analitico è la sede elitaria per il dispiegarsi del suddetto. In psicoanalisi, benché ogni scuola o orientamento della medesima abbia un suo punto di vista più o meno simile nella teoria e nella conseguente pratica della gestione del transfert, si può dire in generale che tale meccanismo naturale viene utilizzato, o comunque dovrebbe essere utilizzato, da colui che è posto nella relazione nel ruolo dell'analista, a fini terapeutici ovvero per portare avanti e infine a compimento il processo psicoanalitico.
Il transfert è praticamente una normale proiezione che può essere positiva (transfert positivo), con connotazioni di stima, affetto, amore per il partner della relazione, oppure avere una valenza negativa (transfert negativo) quando le emozioni che vengono messe in gioco dal transfert sono per lo più di competitività, invidia, gelosia, aggressività.

Nell'ambito del colloquio clinico, nella relazione tra analizzato e analista per lo più nel linguaggio che descrive questo tipo di relazione, viene comunemente usato il termine di transfert al posto di quello di proiezione.

‎La relazione tra analista e analizzato è infatti paragonabile a una qualsiasi storia d'amore, dove forze di attrazione e anche forze di repulsione hanno modo di dispiegarsi. Sta alla capacità dell'analista e alla buona volontà dell'analizzato saperle gestire nel migliore dei modi.
In questo gioco di forze emotive affettive anche l'analista è pienamente coinvolto, si parla infatti nel gergo proprio di questa nuova disciplina, di controtransfert per intendere la reazione immediata emotiva e affettiva al transfert del paziente da parte di chi dovrebbe sostenere la funzione analitica ed è qui che l'analista che sa il suo mestiere può mettere in atto le sue capacità che consistono fondamentalmente nel riuscire a prendere distanza dal suo stesso immediato sentire il transfert del paziente.
Questa capacità non è richiesta al paziente proprio per il suo essere nel ruolo di paziente, ma la sua emancipazione da questo ruolo avviene proprio nella misura in cui anch'egli apprende dall'esempio e quindi dalla conoscenza dell'analista a prendere distanza da questo suo immediato sentire che produce il transfert.
L'azione dell'analista in questo modo oltre a testimoniare la potenza del metodo analitico e della funzione analitica,conduce a dissoluzione la dipendenza del paziente dall'analista come figura autoritaria sia pure solo conoscitiva che era stata indotta da un transfert non risolto o non del tutto risolto nella vita quotidiana dove come si sa,la dipendenza per lo più viene valutata modalità normale del relazionarsi umano.
Secondo Sigmund Freud, il transfert è una forma di innamoramento che prescinde dall'aspetto, dall'età e dal sesso dello psicoanalista, e si manifesta anche quando questi si mantiene distaccato dal paziente e conserva un comportamento riservato.
« Questo amore non si limita ad obbedire, diventa esigente, domanda soddisfazione di tenerezza e sensualità, pretende l'esclusività, si fa geloso, mostra sempre più l'altro suo aspetto, e cioè una prontezza a convertirsi in ostilità e vendetta, se non può raggiungere i propri scopi. Contemporaneamente, come ogni altro amore, soverchia qualsiasi altro contenuto psichico, spegne l'interesse [del paziente] alla cura e alla guarigione>>, sostituendo alla nevrosi un'altra forma di malattia »
(Freud, La mia vita e la psicoanalisi, capitolo de I Fattori Sessuali, pag. 192)


« Il Super-Io è il residuo dei primi amori dell'Es, è l'erede del complesso edipico, tratta l'Io come un oggetto e spesso assai duramente. [..] è molto importante per la salute psichica che il super-Io si sia sviluppato normalmente, e cioè sia divenuto abbastanza impersonale>>. <

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